Celebriamo di nuovo la Giornata della Cultura Nazionale
Durante la Giornata della Cultura Nazionale sarebbe anomalo non ricordare Eminescu e, per quanto vorremmo allontanarci dal poeta d’effigie, un anniversario senza di lui sarebbe privo di sostanza. È stata la motivazione per la quale abbiamo rinunciato a proporvi un altro argomento letterario e piuttosto riferirci ancora una volta al poeta ROMENO.
Una domanda che rimanda alla riflessione presente nell’introduzione dell’edizione di poesia emineschiana tradotta in lingua francese e apparsa per la casa editrice Libra nel 1992, Poezii/Poésies, ci ha spinti ad accettare la sfida, ritenendo che fosse il momento opportuno. Il testo in questione, firmato dalla traduttrice Elisabeta Isanos, suona così:
“Una leggenda cinese racconta di un tipo di lira con un numero di corde maggiore del normale. Il suo canto era insopportabilmente bello e triste, tanto che gli dei obbligarono il suo creatore a spezzare la lira in due. In questo modo, anche gli dei hanno potuto ascoltarne il canto, ma nessuno conoscerà mai più il suono della lira quando era intera.
La poesia di Eminescu, tradotta, dà la sensazione di un canto ridotto a proporzioni comuni, come a camminare attraverso un bosco in cui, insieme agli alberi tagliati, sono scomparse anche le corde in cui il vento ordiva il canto straordinario, che è andato perduto. La poesia rimane, come sempre, chiusa nel proprio splendore. Si direbbe che di fronte alla bellezza del suo canto, gli dei cerchino di spezzare la lira in due. Che Eminescu sia prigioniero della lingua romena?”
Per quanto possibile, desideriamo rispondere a questa domanda e offrire così un piccolo omaggio dei membri della comunità italiana di Romania, che vivono e sono cresciuti in questo spazio multiculturale estremamente aperto e accogliente verso tutte le influenze culturali di cui lo stesso Eminescu si è nutrito, pubblicando una poesia del grande poeta nella traduzione di Ramiro Ortiz. Forse è anche questo un piccolo esercizio, una dimostrazione di come Eminescu non sia prigioniero della lingua romena!
HO ANCORA UN SOL DESIDERIO
Quand’io m’addormenti
nel buio infinito,
mi date silenti
del pelago al lito;
Nè bara, nè ornate
esequie è ch’io brami;
un’urna intrecciate
di teneri rami.
Sia il bosco vicino,
il sonno sia lene,
stia il cielo turchino
sull’acque serene,
sull’acque tornanti
dolenti alla sponda,
lo scoglio abbraccianti
con lor braccia d’onda.
Che s’alzano chete,
poi bacian la spiaggia:
sui boschi d’abete
la luna viaggia.
Nè alcuno si doglia
sul vinto: dia forte
parola alla foglia
risecca la Morte.
Dei venti sull’ale
ripassi il Signore,
e il tiglio jerale
mi doni il suo fiore.
Non vo più ramingo:
ricordi pietosi
me avvolgon solingo
nei muti riposi,
E gli astri sorgenti
di mezzo agli abeti
mi guardan ridenti,
amici ben lieti;
non san che il dolore
m’appar che ho sofferto,
mentr’ergesi il fiore
sul mio deserto.
MAI AM UN SINGUR DOR
Mai am un singur dor
În liniștea serii
Să mă lăsați să mor
La marginea mării;
Să-mi fie somnul lin
Și codrul aproape,
Pe-ntinsele ape
Să am un cer senin.
Nu-mi trebuie flamuri,
Nu voi sicriu bogat,
Ci-mi împletiți un pat
Din tinere ramuri.
Și nime-n urma mea
Nu-mi plângă la creștet,
Doar toamna glas să dea
Frunzișului veșted.
Pe când cu zgomot cad
Isvoarele-ntr-una,
Alunece luna
Prin vârfuri lungi de brad.
Pătrunză talanga
Al serii rece vânt,
Deasupră-mi teiul sfânt,
Să-și scuture creanga.
Cum n-oi mai fi pribeag
De-atunci înainte,
M-or troieni cu drag
Aduceri aminte.
Luceferi, ce răsar
Din umbră de cetini,
Fiindu-mi prietini,
O să-mi zâmbească iar.
Va geme de patemi
Al mării aspru cânt…
Ci eu voi fi pământ
În singurătate-mi.